Corte costituzionale, sentenza n. 86 del 13.05.2024: la Consulta dichiara l’illegittimità del trattamento sanzionatorio della rapina

Credits: Dott. Kevin Tagliarini

Con la pronuncia in epigrafe, la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma ex art. 628, comma I e II c.p. nella parte in cui non prevede la diminuzione della pena in misura non eccedente un terzo nel caso in cui, tenuto in debito conto dell’entità della condotta, dei mezzi e delle circostanze concrete, il fatto criminoso sia di lieve entità. La Corte ha ritenuto di introdurre la c.d. “valvola di sicurezza”, al fine di garantire il rispetto dei più generali principi di adeguatezza, individualità e proporzionalità della pena rispetto alla condotta censurata in sede penale.



Il presente contributo ha la finalità di indagare le ragioni sottese alla declaratoria di illegittimità costituzionale della norma ex art. 628, comma I e II c.p., nella parte in cui non prevede una diminuzione di pena non eccedente un terzo, laddove, tenuto conto di una serie di parametri, il fatto criminoso sia di lieve entità.

Brevi premesse in fatto

La vicenda trae origine dall’Ordinanza di rimessione pronunciata dal Tribunale di Cuneo, nell’ambito di un procedimento penale avente ad oggetto l’accertamento di fatti penalmente rilevanti, ai sensi dell’art. 628 del Codice penale.

Il Giudice rimettente sollevava questione di legittimità costituzionale con riferimento al secondo comma della norma in commento, il quale disciplina la cosiddetta “rapina impropria”; secondo l’orientamento fatto proprio dal Giudice di Merito, la disposizione di cui all’art. 628 c.p. si poneva in palese violazione degli artt. 3 e 27, comma I e III Cost.

Per ragioni di chiarezza espositiva, si ritiene opportuno illustrare brevemente i fatti oggetti di imputazione.

Il Tribunale di Cuneo si trovava a dover giudicare sull’imputazione di rapina impropria, aggravata dalla commissione ad opera di più persone riunite, ascritta ai soggetti agenti per essersi, dopo aver prelevato dagli scaffali di un supermercato di alcuni generi d’uso, assicurati il possesso degli stessi e l’impunità, in ordine al fatto commesso, con spintoni e minacce in danno di un addetto alla sicurezza e del responsabile dell’esercizio commerciale.

In relazione alla vicenda come sopra riassunta, il Giudice del Merito censurava la sproporzionalità della pena fissata nel minimo edittale, in ordine alla fattispecie di rapina che, sia sotto il profilo del valore della merce sottratta (nel caso di specie, si parla di pochi euro), sia sotto quello della modalità esecutiva della condotta criminosa, si presentava come un fatto di “lieve entità”.

A fondamento delle doglianze formulate, il Tribunale di Cuneo evidenziava che l’evidente sproporzionalità della pena non potesse essere adeguatamente contemperata mediante il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche o con l’applicazione della circostanza attenuante comune del danno di lieve entità patrimoniale, muovendo dal presupposto che la finalità di dette circostanze non è quella di correggere l’eccessività della misura della pena astrattamente prevista.

Per quanto inerisce la non manifesta infondatezza della questione di legittimità sollevata, il Giudice a quo rilevava che il difetto di proporzionalità della pena astrattamente prevista dalla norma incriminatrice determinasse l’irragionevolezza del trattamento sanzionatorio, in palese violazione del più generale principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., con l’ulteriore conseguenza di impedire al medesimo di aderire alla concreta gravità del fatto, da cui deriva necessariamente l’ulteriore violazione dell’art. 27 della Cost., che professa il principio di personalità della responsabilità penale, nonché la finalità rieducativa della pena.

Ciò premesso, il Tribunale di Cuneo sollecitava una pronuncia additiva della Consulta, richiamando una recente decisione, con cui il Giudice delle Leggi aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma ex art. 629 c.p., laddove non prevedeva una diminuzione di pena, in ordine ad un fatto di “lieve entità”. (Cfr. Corte Costituzionale, Sentenza n. 120/2023)

Il richiamo del Giudice rimettente si fondava sulla circostanza che entrambe le norme incriminatrici hanno ad oggetto la tutela del “patrimonio” e prevedono la stessa cornice edittale di pena; ciò posto, non sarebbe stato illogico estendere la declaratoria di illegittimità costituzionale anche alla disposizione ex art. 628 c.p. 

La Decisione della Corte Costituzionale

Il Giudice Costituzionale riteneva la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Cuneo meritevole di accoglimento per le ragioni quivi di seguito illustrate.

Primariamente, il Giudice delle Leggi dava atto del fatto che la pena stabilita per il reato di rapina avesse, nel susseguirsi negli anni, subito un inasprimento crescente che ha interessato il minimo edittale (in origine, il Legislatore aveva previsto una pena fissata nel minimo edittale pari ad 3; successivamente, con la Legge n. 103 del 23 giugno 2017, la pena è stata aumentata ad anni 4. Da ultimo, con la Legge n. 36 del 26 aprile 2019, la pena minima edittale è stata innalzata ad anni 5).

L’inasprimento di pena sopra illustrato, come precisava la Consulta, non interessava solo la fattispecie criminosa di rapina, bensì anche il delitto di estorsione.

Suddetto inasprimento aveva di fatto reso inaccessibile per l’imputato, l’accesso all’istituto della sospensione condizionale della pena, a prescindere dall’entità del fatto per il quale veniva giudicato colpevole.

In virtù di quanto sopra, emergeva con preponderanza la violazione del principio di uguaglianza, atteso che il soggetto che si rendesse responsabile del reato di estorsione, mediante una condotta connaturata da un alto coefficiente di offensività del bene giuridico tutelato si vedeva esposto alla medesima pena edittale prevista per coloro che, tenuto conto di una serie di parametri, avessero tenuto una condotta di lieve entità.

E ancora, il trattamento sanzionatorio si palesava come manifestamente illogico, alla luce del fatto che la pena da irrogarsi deve necessariamente ispirarsi ad una finalità rieducativa del reo e, dunque, non può essere applicata una pena eccessivamente gravosa nei confronti di soggetti che, tenuto conto dell’entità della condotta criminosa, necessitino di un trattamento rieducativo minore, in vista del futuro reinserimento nella compagine sociale.

Con la Sentenza n. 120/2023, pertanto, la Consulta, onde assicurare il rispetto dei più generali principi su cui poggia l’Ordinamento penale italiano, introduceva la cosiddetta “valvola di sicurezza”, scongiurando, così, il pericolo che il reo, al cospetto di un minimo edittale particolarmente aspro, potesse vedersi applicare un trattamento sanzionatorio evidentemente sproporzionato rispetto al fatto di lieve entità per il quale veniva perseguito.

A giudizio della Corte Costituzionale, la ratio decidendi su cui poggia la pronuncia n. 120/2023 si estende anche alla rapina, così come veniva prospettato dal Tribunale di Cuneo.

Infatti, anche con riferimento alla fattispecie delittuosa in esame, la violenza o la minaccia posta in essere dal soggetto agente può ben essere di modesta portata, così come può essere infima l’utilità conseguita.

Muovendo i passi dal caso concreto, oggetto di accertamento innanzi al Tribunale di Cuneo, il Giudice di remissione poneva proprio l’accento sulla scarsa offensività della condotta assunta dagli imputati, sostanziatasi in illazioni scarsamente intimidatorie e in una spinta, al fine di divincolarsi, che non ingenerava pericolo alcuno per la persona offesa. In simile fattispecie, per la rapina (come per l’estorsione), il minimo edittale di notevole asprezza, introdotto dal Legislatore, con l’intento di reprimere condotte penalmente rilevanti e fenomeni criminali seriamente lesivi della persona e del patrimonio, eccede lo scopo e determina l’irrogazione di una pena irragionevole, sproporzionata e, pertanto, inidonea ad assolvere il fine ultimo rieducativo.

A nulla osta, poi, ai fini dell’estensione della “valvola di sicurezza” alla fattispecie criminosa ex art. 628 c.p., la differenza strutturale della rapina rispetto all’estorsione.

Nonostante, infatti, la rapina si distingua dall’estorsione poiché, nell’una, la persona offesa subisce una minaccia o una violenza “diretta ed ineludibile”, mentre, nell’altra, non v’è questo “totale annullamento della capacità del soggetto passivo di determinarsi diversamente dalla volontà dell’agente” (Cfr. Corte di Cassazione, Seconda Sezione Penale, Sentenza n. 21078 del 17 maggio 2023), il Legislatore, parificando i minimi edittali, dimostra di considerare i differenti titoli di reato omogenei, avuto riguardo alla rispettiva offensività astratta, sul presupposto che la libertà morale debba essere protetta non meno che la libertà fisica.

La considerazione unitaria di entrambe le fattispecie delittuose rende, secondo il Giudicante, imprescindibile l’introduzione della valvola di sicurezza anche per il reato di rapina.

E ancora, la Corte Costituzionale, a fondamento della propria decisione, richiamava un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, in virtù del quale un trattamento sanzionatorio manifestamente sproporzionato rispetto alla gravità del fatto ed incapace di adeguarsi al suo concreto disvalore, pregiudica il principio di individualizzazione della pena (Cfr. Corte Costituzionale, Sentenza n. 244/2022); detto principio deve necessariamente intendersi come naturale attuazione e sviluppo di principi costituzionali tale da rendere quanto più possibile “personale” la responsabilità penale, nella prospettiva delineata dall’art. 27 della Cost.

Orbene, la Consulta, per il ragionamento sovraesposto, addiveniva ad accertare l’illogicità della preclusione per il Giudice del Merito, in ordine ad una fattispecie astratta, connotata da un’intrinseca variabilità, stante il carattere multiforme degli elementi costitutivi, “violenza e minaccia”, “cosa sottratta”, “possesso” e “impunità”, di qualificare il fatto come di “lieve entità”, in relazione alla natura, ai mezzi, alle modalità ovvero alla circostanze dell’azione o, ancora, alla tenuità od esiguità del danno o del pericolo creato.

Tuttavia, la Corte Costituzionale non si limitava a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, comma II c.p.p., ma compiva un ulteriore passo avanti.

Il Giudice, infatti, pur osservando che la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Cuneo concernesse la species di rapina impropria, estendeva la declaratoria di incostituzionalità alla rapina propria.

È indubbio, infatti, che le due tipologie di rapina condividano l’unità strutturale, atteso che entrambe concernono aggressioni contestuali alla persona e al patrimonio, astrette in un reato complesso: la rapina propria e la rapina impropria; la prima a dolo di possesso, la seconda a dolo di impunità (Cfr. Corte Costituzionale, Sentenza n. 260/2022).

Ciò posto, a fronte del fatto che la rapina propria e quella impropria condividono la medesima pena fissata nel minimo edittale, è logico ed opportuno, in ossequio ai più volte citati principi ex artt. 3 e 27 Cost., estendere l’applicazione di una valvola di sicurezza anche alla species di rapina di cui al primo comma dell’art. 628 c.p.

Alla luce delle considerazioni sino a qui illustrate, la Corte Costituzionale, in primo luogo, dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, comma II c.p. e, in via consequenziale, ai sensi della Legge n. 87 dell’11 marzo 1953, dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, comma I c.p.

La suddetta pronuncia, la cui esegesi ricalca la ratio decidendi della sentenza n. 120/2023, nonché della sentenza n. 46 del 21 febbraio 2024, con cui il Giudice delle Leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma ex art. 646 c.p., nella parte in cui prevede la pena della reclusione da 2 a 5 anni, invece che “sino a 5 anni”, pare confermare le scelte di politica criminale recentemente adottate dal Legislatore, che tendono, da un lato, a subordinare l’esercizio dell’azione penale da parte dell’Autorità ad Istanza di parte, dall’altra, a ridurre sensibilmente l’entità delle sanzioni penali, con riferimento ai reati che offendono il patrimonio.


Credits: Dott. Kevin Tagliarini