Il Giudice di Legittimità torna a pronunciarsi in merito al concetto di “Colpa di organizzazione”, ai fini dell’imputazione di responsabilità amministrativa all’Ente per il reato presupposto commesso dai soggetti apicali

Credits: Dott. Kevin Tagliarini


Abstract: con la Sentenza n. 31665 del 2 agosto 2024, la Quarta Sezione Penale della Suprema Corte ribadisce un orientamento di Legittimità già consolidato, in virtù del quale la responsabilità amministrativa dell’Ente ex D.
Lgs. n. 231/2001 non può essere direttamente inferita dalla commissione del reato presupposto da parte del soggetto apicale; invero, è imprescindibile che l’accertamento della predetta responsabilità segua un percorso di natura logico - sostanziale, volto ad individuare l’esistenza di una “colpa di organizzazione” rispetto alla quale il reato presupposto si ponga in uno stringente rapporto di causalità.



La vicenda oggetto di accertamento giudiziale

La Sentenza in commento si riferisce a fatti aventi ad oggetto la morte di due tecnici di una Società per Azioni che venivano destinati a prestare la propria opera presso gli impianti di un’impresa committente, in territorio libico.

In quel frangente, i due operai, invece di essere trasferiti presso l’impianto di destinazione via mare, a bordo di una nave all’uopo messa a disposizione dalla Società committente, venivano trasportati via terra, a bordo di un’autovettura munita di autista. Si trattava di una variazione del programma rispetto a quanto di regola avveniva per gli spostamenti da e per il sito di interesse.

Da questa circostanza derivava il tragico epilogo, consistente nel rapimento dei due operai, durante il tragitto a bordo dell’autoveicolo, da parte di un gruppo di belligeranti libici, che culminava, dopo un lungo periodo di prigionia, nella morte degli stessi.

Dopo l’espletamento delle indagini preliminari da parte dell’Autorità inquirente, i componenti del Consiglio di Amministrazione e un Dirigente della Società venivano citati a giudizio per rispondere della morte degli operai della Società.

Nello specifico, gli Amministratori, quali titolari della posizione di garanzia, omettevano, per negligenza, imprudenza ed imperizia - anche dopo che la Società aveva partecipato ad una riunione indetta dal Ministero degli Esteri, in data 12 febbraio 2015, in cui veniva preannunciata l’imminente chiusura dell’Ambasciata italiana, a seguito del peggioramento delle condizioni di sicurezza e, pertanto, si invitavano gli operatori commerciali ad abbandonare il territorio libico ovvero ad aumentare al massimo livello le misure di sicurezza – di impartire disposizioni circa la gestione del rischio per garantire l’integrità fisica dei lavoratori durante il trasferimento presso i cantieri in Libia.

Il Giudice per l’Udienza Preliminare presso il Tribunale di Roma, a seguito di giudizio abbreviato,  attribuiva  responsabilità penale, in ordine al reato di omicidio, a titolo di  cooperazione colposa nell’omicidio volontario commesso dai sequestratori, ai componenti del Consiglio di Amministrazione della Società; l’Autorità giudiziaria accoglieva, poi, l’Istanza di Applicazione della pena su richiesta delle parti formulata dal Manager, al quale l’Organo amministrativo aveva conferito la delega per la sicurezza nel compound, affidando a questi poteri autonomi di gestione e di spesa.

Per quanto quivi di interesse, il Giudice di merito  condannava, altresì, la Società per Azioni  alla sanzione pecuniaria pari ad euro 150.000,00, in relazione all’illecito di cui all’art. 25 septies del D.lgs. n. 231/2001, in ordine al reato di cui all’art. 589 c.p., perché i componenti del Consiglio di Amministrazione, nonché il Dirigente munito di deleghe operative in materia di sicurezza e, quindi, i soggetti apicali dell’Ente, omettevano di adottare le necessarie misure tecniche ed organizzative, al fine di garantire la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, in concomitanza del trasferimento dei medesimi presso gli impianti del committente, in territorio libico.

Avverso la pronuncia del Giudice di primo grado, proponevano Appello i membri del CdA e l’Ente ritenuto responsabile in via amministrativa del reato presupposto ai medesimi ascritto.

Il Collegio capitolino, con Sentenza del 5 luglio 2023, assolveva i membri del Consiglio di Amministrazione dal reato loro ascritto per non aver commesso il fatto; veniva confermato, invece, l’illecito amministrativo derivante da reato dell’Ente.

In particolare, la condanna dell’Ente si fondava sui seguenti presupposti: i) la mancata adozione di Modello Organizzativo idoneo a prevenire reati in violazione delle norme poste a tutela della salute e della sicurezza del personale impiegato dall’impresa; ii) la mancata adozione di protocolli che prevedessero una puntuale formazione del personale rispetto a rischi esogeni ed endogeni del Paese in cui operava la Società; iii) le prescrizioni afferenti  allo spostamento del personale dipendente entro i confini del territorio libico, ancorché impartite ed asseritamente percepite come vincolanti, non presentavano i caratteri della ritualità formale e della perentorietà sostanziale, preso atto dell’insufficiente procedimentalizzazione del sistema; iv) l’estrema disinvoltura con cui l’Ente decideva di operare, in sfregio alle più generali regole cautelari di diligenza, prudenza e perizia, le quali avrebbero imposto alla Società di chiedere il rilascio di un’autorizzazione formale che legittimasse la deroga ad una regola di condotta ad essa tassativamente impartita; v) il comportamento emblematico assunto dalle vittime del sequestro di persona, le quali non avevano a sollevare obiezione alcuna circa le modalità del trasferimento entro il territorio libico, nell’evidente consapevolezza che ciò non si traducesse nella violazione di alcun rigido protocollo.  

La tesi difensiva prospettata dall’Ente

Per quanto quivi di interesse, avverso la precitata sentenza, la Società per Azioni proponeva Ricorso per Cassazione articolato nei motivi di seguito brevemente riassunti.

La difesa evidenziava come la responsabilità amministrativa attribuita all’Ente fosse saldamente ancorata alla sentenza di patteggiamento pronunziata nei confronti del Dirigente della Società, cui era stata attribuita specifica delega di funzioni rispetto alla tutela della salute sicurezza dei lavoratori, deputati ad operare negli stabilimenti del committente siti in Libia.

Invero, in virtù della tesi difensiva prospettata dal Ricorrente, se il provvedimento oggetto di impugnazione era giunto ad escludere la responsabilità penale dei membri del CdA, muovendo dal presupposto che i medesimi avessero formalmente affidato alla figura di management una valida delega, da cui discendevano autonomi poteri decisionali e di spesa, nonché dal fatto che la condotta omissiva loro contestata non potesse considerarsi quale antecedente causale dell’evento verificatosi,  non era  dato comprendere perché il medesimo presupposto non fosse stato ritenuto dalla Corte d’Appello  ostativo ai fini dell’attribuzione di responsabilità amministrativa all’Ente.

Nel merito, poi, la difesa dell’Ente evidenziava che la Sentenza impugnata aveva, in più parti, riconosciuto che l’Ente aveva adottato un Modello Organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi e che le prescrizioni dal medesimo imposte venivano costantemente rispettate.

Tale circostanza emergeva sin dal giudizio di primo grado, nel cui ambito la stessa Autorità procedente aveva dato atto del fatto che il trasporto via mare dei dipendenti per il raggiungimento dei siti di interesse costituisse la procedura ordinaria per la mobilità del personale impiegato in territorio libico; lo stesso manager, peraltro, rivelava di aver personalmente assunto la decisione di far viaggiare via terra gli operatori tecnici, eccependo che era la prima volta che veniva disposto in tal senso.

Da ultimo, l’Ente incolpato adduceva violazione degli art. 5 e 25 septies del D.lgs. n. 231/2001 e carenza assoluta di motivazione per quanto afferiva la ritenuta configurabilità di un vantaggio in capo all’Ente, correlato all’incremento di produttività, nonché al risparmio di costi che il medesimo avrebbe, invece, dovuto sopportare in caso di trasferimento via mare del personale dipendente.  

La Decisione della Suprema Corte

La Suprema Corte riteneva fondate le prospettazioni difensive dell’Ente per le ragioni di seguito illustrate.

In punto di diritto, secondo il Giudice di Legittimità, l’errore in cui sarebbe incorso il Collegio capitolino consisteva nell’inferire la colpa di organizzazione della Società dallo sporadico comportamento tenuto dal security manager, avente autonomi poteri di gestione e di spesa, in violazione delle prescrizioni imposte dal Modello Organizzativo.

Del resto, lo stesso provvedimento impugnato dava atto della circostanza che tutti i lavoratori deputati a prestare la propria opera presso i siti dislocati entro il territorio libico fossero ben consci dell’esistenza di una procedura che prevedesse il trasporto via mare degli stessi.

Peraltro, il Giudice del Gravame non contestava il fatto che il security manager fosse munito di una delega di funzione in ambito tutela della salute e sicurezza dei lavoratori impiegati in Libia, con ampi ed autonomi potere di gestione e di spesa. Ed è lo stesso provvedimento a riconoscere che la condotta posta in essere dal soggetto apicale, da cui, poi, sono scaturiti i tragici eventi, non fosse assolutamente prevedibile da parte dei membri del CdA.

Alla luce di quanto sopra, secondo Gli Ermellini, il Giudice d’Appello non aveva fatto buon governo della più recente giurisprudenza di Legittimità, la quale ha costantemente ribadito la necessità che l’accertamento della responsabilità segua un iter di natura logico -  sostanziale che, similmente a quanto accade per il giudizio instaurato nei confronti delle persone fisiche, accerti l’esistenza effettiva di una “colpa di organizzazione”, rispetto alla quale il reato si ponga in uno stretto rapporto di derivazione causale.

Al fine di suffragare la suddetta linea interpretativa, il Supremo Consesso richiama una risalente pronunzia che ha elaborato il seguente principio di diritto: “la responsabilità da reato degli Enti rappresenta un modello di responsabilità che, coniugando i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, ha finito con il configurare un terzium genus, compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio, di colpevolezza e i criteri di imputazione oggettiva di essa[1]”.

Ora, per quanto attiene alla responsabilità dell’Ente, con riferimento a reati colposi di evento, conseguenti alla violazione di norme poste a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, la “colpa di organizzazione” deve essere necessariamente intesa in senso normativo e si fonda sul rimprovero derivante dall’inottemperanza dell’obbligo di adottare adeguate cautele, onde prevenire i reati della stessa specie di quello in concreto verificatosi ed oggetto di contestazione.

Del tutto apodittico, dunque, appare il giudizio di inidoneità del Modello adottato dall’Ente formulato dal Giudice del Gravame.

E ancora, ai fini della condanna della Società incolpata, non è sufficiente ex se la mancata adozione o efficace attuazione di un modello; è imprescindibile, infatti, accertare in concreto la colpa di organizzazione, quale elemento costitutivo della responsabilità amministrativa.

Se così non fosse, l’Ente verrebbe chiamato a rispondere in giudizio di una responsabilità di tipo oggettivo.

L’excursus giurisprudenziale percorso dalla Suprema Corte palesava, nel caso che ci occupa, che il Modello adottato dalla Società fosse idoneo a prevenire i reati della specie di quello verificatosi.

Da ultimo, la Corte di Cassazione non riteneva condivisibile la via percorsa dall’Accusa, ai fini dell’attribuzione di responsabilità alla Società incolpata, concernente il perseguimento di un vantaggio apprezzabile come conseguenza del reato presupposto.

Invero, dal tessuto motivazionale delle due sentenze di merito non emergeva alcuna urgenza per la Società di avere a disposizione i tecnici presso il sito di destinazione, tale da giustificare un trasporto via terra immediato.

Per quanto attiene al risparmio dei costi correlati all’alloggio in Tunisia, a fronte di un servizio auto che, comunque, veniva pagato dalla Società, se ne palesava la portata irrisoria per una multinazionale delle dimensioni dell’Ente incolpato.

Con riferimento all’esiguità del vantaggio conseguito, a giudizio degli Ermellini, non va trascurato il dictum della Quarta Sezione Penale della Suprema Corte, la quale ha statuito che, al fine di impedire un’automatica applicazione del precetto penale, l’esiguità del risparmio rileva per escludere il profilo dell’interesse o del vantaggio e, dunque, la responsabilità dell’Ente, ove la violazione si collochi in un contesto di generale osservanza da parte dell’impresa delle disposizioni impartite in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori[2].

Per le motivazioni sopra riassunte, la Corte di Cassazione annullava senza rinvio la sentenza di condanna pronunziata nei confronti della Società, atteso che non poteva ritenersi sussistente l’illecito amministrativo di cui all’art. 25 septies del D.lgs. n. 231/2001.

Con la pronunzia in commento, la Suprema Corte ribadisce un consolidato orientamento giurisprudenziale, in virtù del quale la responsabilità amministrativa dell’Ente non può essere direttamente inferita dalla commissione del reato presupposto e prescinde dall’attuazione di un Modello idoneo ed efficace. Essa è insita nella cosiddetta colpa di organizzazione, che ne rappresenta elemento costitutivo e il cui onere della prova grava sull’Accusa.  


[1] Così, Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza n. 38343 del 24 aprile 2014; in senso conforme, Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, Sentenza n. 21704 del 28 marzo 2023.

[2] Corte di Cassazione, Quarta Sezione Penale, Sentenza n. 22256 del 3 marzo 2023.


 Credits: Dott. Kevin Tagliarini