Il Giudice di merito non ha facoltà di subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno derivante da reato, laddove il soggetto danneggiato non abbia esercitato l’azione civile nel processo penale

Credits: Dott. Kevin Tagliarini


Abstract: con la Sentenza n. 20059 del 23.07.2024, la Terza Sezione Penale  della Suprema Corte ribadisce l’impossibilità per il Giudice del merito di subordinare, in sede di condanna, l’operatività dell’istituto della sospensione condizionale della pena ex art. 165 c.p. all’intervenuto risarcimento del danno da parte dell’imputato, in favore della persona offesa e/o danneggiata da reato, atteso che, in difetto dell’azione civile all’uopo esercitata, il processo penale tende a perseguire solo e soltanto il danno criminale, che si identifica con le conseguenze di tipo pubblicistico che afferiscono alla lesione ovvero alla messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.


Il presente contributo si pone la finalità di indagare le ragioni su cui si fonda la recente pronunzia del Giudice di Legittimità con cui, con riferimento al reato di natura tributaria ex art. 8 del D.lgs. n. 74/2000, è stato escluso che il Giudice del merito possa subordinare l’operatività dell’istituto della sospensione condizionale della pena ex art. 165 c.p. all’intervenuta restituzione da parte dell’imputato dei beni conseguiti per l’effetto del reato.

Ad ogni modo, per meglio comprendere le motivazioni addotte del Supremo Consesso, è opportuno ripercorrere l’iter giudiziario scaturito, poi, nel provvedimento in commento.

La vicenda trae origine dalla pronuncia della Corte d’Appello di Torino, con cui, in parziale riforma della sentenza di primo grado, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, il prevenuto era stato condannato, in ordine al reato di cui all’art. 8 del D.lgs. n. 74/2000, alla pena di anni 1 di reclusione, con conseguente concessione della sospensione condizionale della pena.

Il beneficio in parola veniva, tuttavia, subordinato all’assolvimento dell’onere tributario scaturente dalla violazione attribuita all’imputato, derivante dall’emissione di fatture per operazioni inesistenti, entro e non oltre un anno dal passaggio in giudicato della sentenza del giudizio di gravame.

L’imputato proponeva, avverso la sentenza di condanna della Corte d’Appello di Torino, ricorso per Cassazione articolato in due motivi, di seguito brevemente riassunti.

Con il primo motivo, la difesa eccepiva l’illogicità della sentenza oggetto di impugnazione, nella misura in cui la stessa affermava l’insussistenza delle prestazioni documentate, da cui sarebbe dovuta derivare l’insussistenza materiale del fatto contestato.

Con il secondo motivo, il ricorrente si doleva, sia con riferimento alla violazione di legge, sia con riferimento al vizio di motivazione, del fatto che il Giudice del gravame aveva ritenuto di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena all’assolvimento del debito tributario scaturente dalla violazione normativa per cui si procedeva e avesse omesso di concedere il beneficio della non menzione della sentenza nel casellario giudiziale.

In particolare, la difesa eccepiva che, con riferimento al reato di cui all’art. 8 della Legge n. 772/1972, così come novellato dall’art. 2 della legge n. 695 del 1974, fosse intervenuta l’abrogazione della fattispecie criminosa e, pertanto, in assenza di una precedente condanna, la Corte non avrebbe avuto motivo di negare il beneficio incondizionato della sospensione della pena ex art. 163 c.p.

E ancora, in virtù della prospettata tesi difensiva, che richiamava sul punto un consolidato orientamento del Giudice di Legittimità, la sospensione condizionale della pena non avrebbe potuto essere subordinata alla condizione costituita dal pagamento di una somma di danaro quale adempimento di un preesistente obbligo, giacché l’azione civile da parte della persona offesa non era stata validamente esercitata nei confronti del reo.

Gli Ermellini ritenevano il Ricorso meritevole di accoglimento nei limiti di seguito esplicati.

Con riferimento al primo motivo di impugnazione, la Corte di Cassazione riteneva le doglianze formulate dal ricorrente inammissibili, posto che esse inerivano alla possibilità di fornire una lettura diversa degli elementi di accusa utilizzati in sede di merito a carico del prevenuto, giudizio, como noto, precluso in sede di legittimità.

Parimenti inammissibile, a giudizio della Suprema Corte, la doglianza afferente all’omessa motivazione in merito alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale; il riconoscimento del beneficio, negato già in sede di condanna di primo grado, non aveva formato oggetto di impugnazione in sede di gravame e, pertanto, non poteva validamente essere dedotto nel giudizio di legittimità, a cognizione devolutiva.

Per quanto quivi di interesse, invece, veniva ritenuto meritevole di accoglimento il motivo di impugnazione concernente la subordinazione della sospensione condizionale della pena all’avveramento di una condizione. Osservava il Collegio che la previsione di cui la Corte d’Appello di Torino si era fatta portatrice fosse assolutamente illegittima per le ragioni esplicate di seguito.

Innanzitutto, il Supremo Consesso rilevava che il Giudice del gravame avesse omesso la valutazione preventiva circa le reali condizioni economiche del reo, così da poter legittimamente subordinare il beneficio ad un sacrificio di natura patrimoniale, previa verifica della concreta possibilità per il medesimo di adempiere entro il termine prefissato.

Tale obbligo per l’Autorità giudicante ha la finalità di assicurare che la concessione del beneficio non sia inutilmente assoggettata ad una sanzione eccessivamente afflittiva, il cui avveramento sia sostanzialmente impossibile.

La violazione del principio sopra richiamato sarebbe stata sufficiente per annullare la sentenza impugnata con rinvio, atteso che si sarebbe resa necessaria una verifica in tal senso, al fine di valutare la legittimità del provvedimento.

Ciò premesso, la decisione di subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all’assolvimento dell’onere tributario scaturente dalla violazione della norma incriminatrice veniva ritenuta ulteriormente viziata, con conseguente annullamento, in questa circostanza senza rinvio, del provvedimento impugnato.

In punto di diritto, la Corte di Cassazione richiama il disposto dell’art. 165 c.p., a mente del quale, allorquando il Giudice di merito ritenga di concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena a soggetto che ne abbia già usufruito in passato, la stessa deve essere subordinata all’adempimento di uno degli obblighi previsti dal primo comma della medesima disposizione, ovverosia all’adempimento dell’obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, ovvero a titolo di provvisionale o, da ultimo, alla pubblicazione della sentenza, a titolo di risarcimento del danno patito dalla persona danneggiata da reato.

Alla luce di quanto sopra, il Giudice Supremo concludeva, con avvallo di consolidata giurisprudenza di legittimità, che la statuizione afferente alla concessione della sospensione condizionale della pena ex art. 165 c.p. fosse  logicamente concepibile solo nel caso in cui il soggetto destinatario delle precitate restituzioni, afferenti al profilo del ristoro del danno civile, si fosse validamente costituito parte civile nell’ambito del processo penale, al fine di ottenere una pronunzia che, nel limite del possibile, lo reintegrasse in natura o per equivalente, nella posizione giuridico – soggettiva preesistente alla commissione del fatto oggetto di censura.

Infatti, il danno civile non si identifica con il danno criminale, da intendersi come conseguenza di natura pubblicistica che inerisce alla lesione ovvero alla messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice[1].

Nel caso di specie, l’esercizio dell’azione civile era prerogativa esclusiva dell’Agenzia delle Entrate, in qualità di articolazione dell’Amministrazione finanziaria, cui è affidata la tutela dell’interesse – indubbiamente pubblico, ma non necessariamente rilevante in sede penale – al corretto adempimento delle obbligazioni tributarie e, pertanto, autonomamente legittimata a costituirsi parte civile nel relativo processo penale.

Per concludere, il Giudice del gravame ha argomentato basandosi sul presupposto che le restituzioni cui faceva riferimento nel provvedimento impugnato, ai fini della concessione all’imputato del beneficio della sospensione condizionale della pena ex art. 165 c.p., avessero natura squisitamente restitutoria, essendo le medesime programmaticamente volte al conseguimento delle imposte il cui versamento era stato omesso per effetto delle condotte criminose poste in esser dal reo. Altro argomento centrale è il rilievo per cui non fosse intervenuta alcuna costituzione di parte civile da parte di soggetto in tal senso legittimato: di tal ché, la Corte di Cassazione annullava senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente all’apposizione della condizione alla sospensione condizionale della pena in favore dell’imputato.  


[1] In questo senso, Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza n. 32939 del 27 luglio 2023.


 Credits: Dott. Kevin Tagliarini