In materia di Ordine europeo di indagine, l’acquisizione dei risultati di intercettazioni disposte da un’autorità giudiziaria straniera, nell’ambito di un procedimento penale pendente innanzi ad essa, soggiace alla disciplina di cui all’art. 270 c.p.p.

Credits: Dott. Kevin Tagliarini

Con la Sentenza n. 23756 del 14.06.2024 il Giudice di Legittimità, in composizione plenaria, in materia di Ordine di indagine europeo, l’acquisizione dei risultati di intercettazioni disposte da un’autorità giudiziaria straniera, nell’ambito di un procedimento penale pendente innanzi ad essa, effettuate a mezzo di una piattaforma informatica criptata e su criptofonini, non soggiace alla disciplina di cui all’art. 234 bis c.p.p., il quale opera all’infuori delle ipotesi di collaborazione tra autorità giudiziarie, ma rientra nell’ambito di applicazione di cui all’art. 270 c.p.p. È fatta salva, altresì, l’utilizzabilità degli atti, laddove le intercettazioni in questione potessero essere legittimamente disposte nell’ambito dell’Ordinamento penale italiano con riferimento ad un fatto analogo.



Premessa

Il presente contributo si pone la finalità di indagare le ragioni sottese al provvedimento sopra epigarafo, con cui il Supremo Consesso ha escluso, in materia di Ordine europeo di indagine, che l’acquisizione delle risultanze di intercettazioni disposte da un’autorità giudiziaria straniera, nell’ambito di un procedimento penale pendente innanzi ad essa, soggiaccia alla disciplina di cui all’art. 234 bis c.p.p., il cui ambito di operatività non si estende alle ipotesi di collaborazione con l’Autorità straniera; invero, l’acquisizione di dette risultanze collide inevitabilmente con i limiti di utilizzabilità, così come enucleati dall’art. 270 c.p.p.

La vicenda giudiziaria

La questione rimessa al vaglio delle Sezioni Unite trae origine dall’Ordinanza emessa in data 21 luglio 2023, con cui il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato le Istanze di Riesame proposte dagli indagati avverso l’Ordinanza del G.I.P. con cui era stata applicata nei confronti degli stessi la misura della custodia cautelare in carcere, in ordine ai reati di cui agli artt. 73 e 74 del D.P.R. n. 309/1990.

L’Ordinanza oggetto di censura si fondava su gravi indizi di colpevolezza a carico dei soggetti indagati, con riferimento sia alla partecipazione di questi ad un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di cocaina, sia in ordine al concorso in differenti episodi di acquisto, detenzione, importazione e cessione di partite della precitata sostanza stupefacente.

Gli indizi di colpevolezza su cui si fondava il provvedimento del Giudice delle Indagini preliminari consistevano in elementi di prova acquisiti per il tramite di comunicazioni intercorse sulla rete criptata “Sky – Ecc”, acquisiti mediante Ordine europeo di indagine, presso l’Autorità giudiziaria della Repubblica di Francia.

Le prospettazioni della difesa

Avverso il provvedimento di rigetto, i difensori degli indagati proponevano ricorso per Cassazione, articolato in sei motivi.

In particolare, per quanto quivi di interesse, i ricorrenti denunziavano la violazione delle proprie prerogative difensive, nella misura in cui non erano stati messi debitamente nelle condizioni di conoscere le funzionalità dell’algoritmo impiegato per la captazione e decriptazione delle comunicazioni scambiate per il tramite della piattaforma digitale.

Inoltre, i difensori delle parti eccepivano che l’emissione dell’Ordine europeo di indagine non fosse sovrapponibile alla disposizione ex art. 234 bis c.p.p.., la quale disciplina l’acquisizione di documenti all’estero, ma, invero, ad essa contrapposta.

Le doglianze formulate riguardavano la presunta violazione della Direttiva 2014 – 41 UE, atteso che le attività di intercettazioni, come disposte dall’Autorità francese, non avrebbero mai potuto essere disposte nell’ambito dell’Ordinamento penale italiano, giacché le medesime avevano ad oggetto indistintamente la totalità degli utenti che scambiavano informazioni sulla piattaforma “Sky Ecc”. Invero, il Codice di procedura penale italiano subordina il ricorso ad attività di intercettazioni c.d. “probatorie” a limiti assai stringenti, onde assicurare all’indagato il pieno esercizio delle proprie prerogative difensive.

In via subordinata, gli indagati chiedevano al Giudice di Legittimità di sollevare questione di pregiudizialità innanzi alla Corte di Giustizia Europea, con riferimento alla corretta interpretazione della disposizione ex art. 6, parafato 1, lettera a) della Direttiva 2014 – 41 UE[1].

 La Decisione delle Sezioni Unite

A fronte della complessità della questione sottoposta al Giudice di Legittimità, la Sesta Sezione Penale della Corte di cassazione, con Ordinanza del 15 gennaio 2024, rimetteva l’esame del Ricorso alle Sezioni Unite, evidenziando l’esistenza delle di seguito indicate questioni di diritto, idonee a dare luogo ad un contrasto giurisprudenziale:

 a)     se l’acquisizione mediante Ordine europeo di indagini, dei risultati di intercettazioni disposte da un’autorità giudiziaria straniera su una piattaforma informatica criptata integri l’ipotesi disciplinata nell’ordinamento interno dall’art. 270 c.p.p.;

b)     Se l’acquisizione, mediante Ordine europeo di indagini, dei risultati di intercettazioni disposte da un’autorità giudiziaria straniera, attraverso l’inserimento di un captatore informatico sui server di una piattaforma criptata sia soggetta nell’ordinamento interno ad un controllo giurisdizionale, preventivo o successivo, in ordine all’utilizzabilità dei dati raccolti.

Le Sezioni Unite, dando preventivamente atto dell’esistenza sul punto di orientamenti giurisprudenziali contrastanti (l’uno tendente a ritenere applicabile la disciplina di cui all’art. 234 bis c.p.p., l’altro propenso a ritenere applicabile la disciplina delle intercettazioni, di cui agli artt. 266 e s.s. c.p.p.), concludeva che l’acquisizione dei documenti all’estero e l’emissione dell’Ordine europeo di indagine non possono essere disciplinati dalla medesima disposizione di legge.

Tale circostanza è evidente, atteso che l’acquisizione di documenti all’estero ex art. 234 bis c.p.p. non presuppone la collaborazione dell’autorità straniera.

Volgendo, poi, lo sguardo al sistema normativo delineato dalla Direttiva 2014 – 41 UE, nonché al Decreto Legislativo di recepimento, si evince che, perché l’Ordine europeo di indagine possa considerarsi legittimo, debbono essere rispettati due requisiti: a) la proporzionalità dell’Atto; b) l’ammissibilità degli atti di indagine di cui si chiede l’acquisizione alla luce del diritto interno.

In ogni caso, la Corte rilevava che l’assenza di disposizioni normative ad hoc afferenti il regime dell’inutilizzabilità degli Atti, inducesse a ritenere che, laddove la parte che ne abbia interesse intenda sollevare un’eccezione processuale in tal senso, grava su questa l’onere di allegazione di fatti positivi o negativi che ne suffraghino la tesi prospettata, tenendo, altresì, conto della più generale presunzione relativa al fatto che gli Stati membri rispettino il diritto dell’Unione e, in particolare, i diritti e le libertà fondamentali dei consociati.

Venendo alla disamina del caso di specie, il Supremo Consesso chiariva che l’assunto in virtù del quale l’Ordine europeo di indagine avesse ad oggetto “prove già in possesso dell’Autorità straniera” fosse circostanza incontrovertibile atteso che non risultava diversamente dagli atti processuali e le parti nulla eccepivano in senso opposto.

Ora, se si volge lo sguardo al combinato disposto di cui agli artt. 12 e 13 della Direttiva 2014 – 41 UE, nel momento in cui le prove da acquisire siano immediatamente disponibili presso lo Stato d’esecuzione, la trasmissione allo Stato richiedente dovrebbe essere immediata, senza che sia necessario il compimento di ulteriori atti di indagine.

Tracciando un parallelismo con il sistema processuale italiano, nel cui ambito la difesa e il Pubblico Ministero possono produrre, ove ne abbiano interesse, prove già formate in differente procedimento penale, al fine di ottenerne l’acquisizione in quello di interesse, fatto salvo il potere del Giudice di vagliarne i presupposti, ai fini dell’ammissibilità, rilevano gli artt. 238 e 270 c.p.p.

La prima disposizione richiamata detta regole generali con riferimento alla libera circolazione dei verbali di prove di altri procedimenti, senza che vi sia un controllo preventivo del giudice.

La seconda norma, a sua volta, disciplina i requisiti per l’utilizzazione dei risultati delle intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni in procedimenti diversi da quelli nei quali le stesse sono state disposte. Essa si pone in un rapporto di specialità rispetto alla disposizione di cui all’art. 238 c.p.p., atteso che disciplina la produzione di uno specifico mezzo di ricerca della prova. Parimenti, non è previsto alcun intervento preventivo del Giudice.

Se le norme sopra richiamate vengono lette in combinato disposto con l’art. 78 disp. att. c.p.p., il quale prevede che la documentazione afferente ad atti compiuti innanzi all’Autorità straniera possa essere acquisita dal P.M. senza che intervenga previa autorizzazione del Giudice, a mente dell’art. 238 c.p.p., e se l’art. 270 c.p.p. costituisce una ipotesi speciale rispetto al citato articolo, è indubbio che l’Ordine europeo di indagine sia stato legittimamente emesso.

L’ultimo passo che il Giudice di Legittimità si premurava di compiere consiste nella qualificazione del tipo di atto trasmesso.

La qualificazione degli atti in questione come “documenti” non veniva ostacolata dalla circostanza che dette “entità” rappresentative fossero comunicazioni elettroniche, a fronte della latitudine dell’accezione generalmente accolta in giurisprudenza.

È doveroso, comunque, rammentare che, laddove l’acquisizione abbia ad oggetto comunicazioni riservate scambiate tra un numero determinato di soggetti, opera la riserva di legge di cui all’art. 15 Cost.  

Tuttavia, la riserva di legge in parola non implica necessariamente l’intervento del Giudice, ben potendo essere disposta a seguito di iniziativa del Pubblico Ministero.

Se, dunque, lo stesso ordinamento processuale italiano consente l’acquisizione di documenti aventi ad oggetto corrispondenza privata senza che intervenga il giudice, l’Ordine europeo di indagine emesso dal P.M. è assolutamente legittimo, avendo ad oggetto documenti concernenti corrispondenza conservati presso un’Autorità estera.

Ora, avendo i documenti in questione ad oggetto materiale probatorio acquisito mediante attività di intercettazione, il parametro di riferimento nell’ordinamento italiano non può che essere l’art. 270 c.p.p., a mente del quale i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quello nel cui ambito le stesse sono state disposte, a meno che non risultino rilevanti ed indispensabili per accertare delitti in relazione ai quali è obbligatorio l’arresto in flagranza.

Anche in detto caso, non è previsto alcun intervento preventivo da parte del Giudice, ai fini dell’utilizzabilità degli atti di cui si chiede l’acquisizione.

Se si volge, poi, lo sguardo alla disciplina della Direttiva 2014 – 41 UE, come recepita dal D. Lgs. n. 108/2017, si ritiene che l’emissione di un Ordine europeo di indagine da parte di un Pubblico Ministero italiano sia assolutamente legittimo, pur senza previa autorizzazione del giudice nazionale, ai fini dell’acquisizione di risultati di intercettazioni ordinate dall’Autorità straniera, nell’ambito di un procedimento pendente innanzi alla stessa. Atteso che l’Ordine ha ad oggetto atti che avrebbero potuti essere ammessi nel sistema domestico, alle stesse condizioni in un caso interno analogo.

Gli Ermellini, da ultimo, non ritenevano degne di accoglimento le doglianze formulate dalla difesa, in merito alle modalità di acquisizione delle comunicazioni intercorse a mezzo della piattaforma “SkyEcc”.

In primo luogo, il captatore informatico utilizzato per acquisire le comunicazioni di interesse non può ritenersi esso stesso un mezzo “atipico” di prova, né, ancora, può ritenersi che l’utilizzo dello strumento al fine di acquisire le chiavi di cifrature custodite all’interno dei dispositivi mobili degli utenti determini una violazione del domicilio informatico di un soggetto.

La stessa giurisprudenza di Legittimità ha più volte ribadito che la finalità di intercettare conversazioni telefoniche e/o ambientali giustifica la materiale introduzione dell’operatore di polizia giudiziaria nei luoghi di privata dimora, al fine di collocare gli strumenti necessari alle operazioni disposte.  

Sul versante dei Diritti e delle Libertà fondamentali, la copiosa giurisprudenza della Corte EDU non vieta all’Autorità di effettuare intercettazioni su vasta scala, purché siano previste efficaci garanzie contro rischi e abusi nella fase di adozione della misura, della sua esecuzione e del controllo successivo.

Nel caso di specie, la circostanza che la difesa non fosse stata posta nelle condizioni di conoscere la funzionalità dell’algoritmo di criptazione non implicava una violazione del diritto di difesa.

Infatti, se pur vero che la disponibilità del predetto algoritmo era funzionale al controllo dell’affidabilità del contenuto dele comunicazioni acquisite, la Corte osservava che il pericolo di alterazione non poteva sussistere, in quanto il contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente legato alla propria chiave di cifratura, indi per cui, una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptare il messaggio di interesse, fosse anche solo parzialmente.

Alla luce di tutto quanto sopra premesso, le Sezioni Unite elaboravano i seguenti principi di diritto: a) in materia di ordine di indagine europeo, l’acquisizione delle risultanze emerse a seguito di intercettazioni disposte da un’autorità giudiziaria straniera non soggiacciono alla disciplina di cui all’art. 234 bis c.p.p., bensì alla disciplina delineata in materia di intercettazioni, di cui all’art. 270 c.p.p.; il Pubblico Ministero procedente può validamente emettere Ordine europeo di indagine, ai fini dell’acquisizione delle prove già in possesso dell’Autorità straniera, senza previa autorizzazione da parte del giudice; c) l’utilizzabilità delle prove raccolte a mezzo di intercettazioni di comunicazioni scambiate tra gli utenti è assolutamente ammissibile, in quanto attiene ad esiti investigativi ottenuti con modalità compatibili con l’ordinamento penale italiano e non deve essere preceduta dall’autorizzazione del giudice.

Muovendo dai principi sopra enucleati, le Sezioni Unite, non ravvisando violazione alcuna delle garanzie difensive degli indagati, ritenevano infondati tutti gli altri motivi di impugnazione e rigettavano i ricorsi, con conseguente condanna delle parti al pagamento delle spese processuali.



[1] Direttiva Europea che disciplina l’emissione dell’Ordine europeo di indagine. In particolare, la disposizione richiamata statuisce che l’Autorità procedente può emettere un Ordine europeo di indagine nel caso in cui il provvedimento sia necessario e proporzionato ai fini del procedimento, tenendo in debito conto i diritti e le libertà fondamentali della persona indagata/imputata.


Credits: Dott. Kevin Tagliarini